Cantina del Gallo | Pizzeria ed Osteria | Pizzeria del Gallo | Cantina del Gallo | Pizzeria Napoli | Pizza napoletana | Pizza cafona | Trattoria | Osteria | Pizzeria
DICONO DI NOI
Napoli, la pizza e il cibo di strada

Da "Osterie d'Italia" - "Napoli, la pizza e il cibo di strada"

Se in ogni angolo del mondo le pizzerie propongono una napoletanità di maniera che nulla ha a che spartire con la memoria storico-gustativa dei partenopei, l'allarme scatta quando ritroviamo la stessa proposta sciatta e omologata a Napoli. Anche qui spesso sembra essere stato dimenticato il modello originale della pizza: con pasta soffice, flessibile, fine, ripiegabile "a libretto", con il cornicione abbondantemente rilevato, alto, e presenza di "bolle".Imperversa, al contrario, la tendenza verso un'anonima pasta "biscottata", croccante, o, sul versante opposto, "panosa", con un cornicione che solo la fantasia può definire tale. Le cause: lievatazione frettolosa, magari con l'ausilio del microonde, progressiva internazionalizzazione e/o adesione al gusto turistico. Tutto questo malgrado il proliferare di iniziative tese alla celebrazione del piatto e alla valorizzazione dei suoi ingredienti (a volte con dispute stucchevoli su mozzarella di bufala o fiordilatte di Agerola, pomodorini del Vesuvio o passata di sanmarzano). E nonostante i recenti sviluppi legislativi e il riconoscimento della pizza come Stg (Specialità tradizionale garantita). Dunque la qualità della pizza napoletana sta nella pasta, e nel suo presupposto tipicamente slow: la lievitazione lenta, garantita dal criscito e non dal lievito, che sa conferire alla preparazione la consistenza, la morbidezza, la fragranza, l'aroma che ne caratterizzano in modo inconfondibile il sapore. Poi ci sono gli ingredienti. E qui è il caso di sfatare il mito della mozzarella di bufala come ideale per la pizza perché la tradizione preferisce il fiordilatte, che si presta meglio per la consistenza. Quanto alle pizze "creative" che oggi imperversano, crediamo che vadano privilegiati gli ingredienti legati alla cultura del territorio, oltre che al buon gusto e al buon senso. Senza pretese, dunque, di essere esaustivi, e con un occhio alla variabilità dovuta a contingenze occasionali indichiamo pizzerie da preferire. Aggiungiamo l'indirizzo di alcuni buoni locali che perpetuano l'antica tradizione del cibo di strada, friggitorie e tripperie. Antica cantina del Gallo. Gli snob, turisti o napoletani, pensano che addentrarsi nel cuore del rione popolare della Sanità possa rappresentare un'avventura rischionsa; da parte nostra, riteniamo invece che gli eventuali pericoli siano gli stessi che si possano correre in tutte le grandi capitali europee e mondiali. Ci piace, dunque, segnalare questo locale che, da circa due secoli, mantiene viva un'autentica interpretazione della gastronomia popolare napoletana. L'attuale gestore, Rosario Silvestri, coadiuvato da tutta la famiglia, propone pizze di ottima fattura per tutti i gusti, ma anche pizzicotti (piccoli ripieni di pasta di pizza con melenzane e provola, o salsiccia e friarielli, ricotta e ciccioli, prosciutto e mozzarella), crocché di patate, arancini di riso e alcuni piatti come zuppa di fagioli, baccalà fritto o in cassuola, spaghetti al pomodoro fresco, pasta e ceci, pasta e patate con provola.

Lina Sastri all'Augusteo

"Lina Sastri all'Augusteo" a cura di Enzo Fusco

Quasi tutto è cominciato l'estate scorsa. Un caldo asfissiante, sì, ma non tale da giustificare l'evidente spossatezza di Enzo. Enzo, Enzo Ciervo, musicista; autore di testi e di note; mio amico. Era venuto a trovarmi, quel pomeriggio d'agosto, ma lo vedevo stanco, davvero troppo stanco. Un mese più tardi avremmo saputo che il suo cancro aveva ripreso a camminare, per farsi un'ulteriore (e non richiesta) passeggiata nel suo corpo. Ma torniamo ancora a quel pomeriggio d'agosto. Parlavamo di Napoli, o comunque della Napoli che c'era, e che quasi non c'è più. Della sua gente, delle sue strade, delle sue parole. Per offrire sostegno alle idee (e ai rammarichi), quasi automaticamente, metto un disco di Lina Sastri. Siamo in giardino, e trascorriamo così più di un'ora; senza parlare; incantati, e - perché no? - emozionati. Insomma, di lì a due mesi, il cupo referto medico del Cardarelli, e l'immediata decisione di ripetere un trapianto di midollo osseo. Enzo attraversa il fiume, e recupera. E allora, io gli chiedo di riaprire qualche suo cassetto. Ne escono fuori alcune canzoni, scritte anche più di dieci anni fa, ma così inaspettatamente attuali. Tra queste c'è Eduardo, quest'ultimo - disperato?- invito rivolto ai napoletani, a scorciare le maniche delle loro camicie; anche in nome di ciò che un tempo siamo stati. Una sorta di appello, sommesso ma nel contempo vigoroso, a recuperare una dignità rapita, un'umanità schiacciata. Riparliamo di Lina Sastri, voce nostra e così vera. Bisogna trovare la maniera per raggiungerla. Tramite Roberto Fix, il contatto giusto si rivela Maurizio Pica, arrangiatore delle musiche dei suoi spettacoli. Col mio Mac, masterizzo su cd Eduardo, in una versione cantata da Enzo con la sola chitarra. Con poche, semplici ed essenziali parole, la spedisco a Lina per posta elettronica. La sua risposta giunge dopo poche ore, entusiasta. Vuole inserire Eduardo nel suo "Corpo celeste", che porterà in tournée in tutt'Italia. è fatta. Siamo contenti, io ed Enzo, felici di come la vita -d'improvviso- possa cambiare il suo volto, mostrando a volte un sorriso. Siamo al 4 aprile, a Napoli, giorno della prima all'Augusteo. Piove, e in auto si scherza, "4 aprilanta, giorni quaranta". Troviamo un parcheggio, miracolo, quasi di fronte alla Posta Centrale. Sono le 7, e in teatro riusciamo ad assistere agli ultimi 5 minuti di prove. Sul palco, c'è Lina; impartisce ordini al tecnico del suono; chiede più luce in un angolo; vuole per terra "nu sign" con lo scotch. Ai lati, due grandi tele raffiguranti Pulcinella, la maschera con la quale noi tutti napoletani sembriamo inevitabilmente nati. Al centro, uno specchio deformante, dove la realtà non è mai quella che sembra. Lina fa dei vocalizi di tamurriata. Infine sbuffa: "mo' me so' scucciata!", e se ne va in camerino. Ci guardiamo, io ed Enzo, e sorridiamo; sì che sappiamo quant'è tosta una prima! Maurizio Pica insiste per offrirci un caffé; ci avviamo verso il Gambrinus. Via Roma è tutt'un fiume di gente, gaudente, tutta bandiere bianco-azzurre, fischietti, gessati e doppiopetti. Ma sì, stasera c'era Berlusconi, a Piazza Plebiscito. La pioggerella sottile reca con sé un ritornello altrettanto sottile, quasi insinuante. Talmente invasivo, che per istintiva reazione faccio fatica a ricordarlo. Eccolo, sì, proprio adesso ne recupero un lacerto... "meno male che Silvio c'è!... meno male che Silvio c'è!... Sì, ora capisco... "Na na na na na/na/na/na!". E che si tratti di Silvio, o di Walter, poco m'importa, perché poco cambia. Sì, ciò che m'infastidisce è quell'avverbio, quel "meno male"; ecco, mi parrebbe più appropriato un "purtroppo". Ecco cosa mi disturba, disturba il mio caffé, la mia passeggiata, questa mia Napoli, quasi fosse un insulto. Per un istante, mi passano davanti i fotogrammi delle autobotti, interrate con tutt'il loro carico di veleni. Ma insomma, ma cosa c'entrano in questi giorni Silvio, o Walter, con la Napoli che c'è nel mio cuore, nella mia testa, e nei miei ricordi? Ma chi li ha fatti entrare? E cos'hanno a che vedere, con la Napoli che c'era, e con quella che sarebbe potuta diventare? Ecco, son venuti a promettere entrando dalla porta principale, e soprattutto senza bussare. Colpa anche nostra, di noi napoletani, che non abbiamo messo citofoni ai portoni; anzi, che li abbiamo tenuti spalancati, aperti ai pirati d'ogni tempo, ai ladri di soldi e di anime. Un caffé putroppo scialbo e frettoloso. Torniamo vero il teatro, un po' confusi, e mesti; rimbambiti ma anche disillusi, col ghigno di chi vuol fare a botte con la tristezza. Ci sediamo, tra le primissime file, circondati dal tipico pubblico delle prime. Dietro di noi molti politici, imprenditori e funzionari di banca; nell'attesa, fanno salotto, e ne ascolto distratto progetti di barche e di spiagge tropicali. Davanti, persone più silenziose, che aspettano. S'alza il sipario. Eccola, Lina, sola in scena, con una sottoveste di set'azzurra che ne avvolge i bei fianchi. Comincia a parlare, e poi a cantare, senza requie. A un certo punto, sorridente, accenna pure una piroetta; mani giunte sul capo, e occhi al cielo. Sì - mi verrebbe voglia di sussurrarle -, ti vorrei ballerina di carillon, a casa mia ti porterei, sul trumeau antico di mammà. Canta e parla, parla e canta, senza fermarsi, e per 140 minuti. Della Napoli che conosco, dzella Napoli vera, che ci è stata portata via, e della quale abbiamo solo i ricordi. E allora, c'è da chiedersi, come vincere la disperanza... Come sconfiggere il pessimismo che ci mangia la vita... Può succedere, dice Lina. Rare volte, ma può accadere, insiste Lina. Cercando la libertà, per esempio, cha va a braccetto con la bellezza: nelle onde del mare che ricopiano i nostri sospiri: nello sguardo d'un bambino: negli occhi dipinti sulle ali d'una farfalla. Fugaci e rare occasioni, perché "la libertà è un sospiro". O sulla scia di Eduardo, del pezzo di Enzo Ciervo; rimboccandosi le maniche, e volgendo attentamente lo sguardo, "accà e allà". A fine spettacolo, gli applausi, tantissimi. E Lina che ringrazia pubblicamente Enzo, "l'autore che le ha permesso di cantare un inedito, dedicato a Napoli e a Eduardo". Applaudo anch'io, ma non ho il coraggio di esortare Enzo ad alzarsi; mi chiedo ancora se ho fatto bene, o se è ancora una volta prevalso il pudore, di chi lavora dietro le quinte e tende a non mostrarsi. Andiamo nei camerini, per salutare Lina. Lei, indubbiamente napoletana e bella, sguardo stanco ma felice; lei, che sul palco pareva un'amazzone, e che ora sembra fragile; sì, come una bomboniera di bisquit improvvisamente investita dal vento. Usciamo. Enzo vuole offrirmi un pizza. Immagino con orrore i tavoli di plastica delle pizzerie di catena, ma lui mi porta da Rosario, nel Rione Sanità. Posiamo l'auto giust'affianco, in un grotta scavata nel tufo, alta una decina di metri; una spelonca dall'ingresso a forma di V rovesciata, che accogli le cose come in un ventre. L'istinto mi dice che quella macchina - là dentro - starà al sicuro. è mezzanotte passata, ma Rosario ci riceve con feste e sorrisi. L'arredo interno spoglio, sgrammaticato, ma l'aria sembra di famiglia. E poi, la pizza è troppo buona, profumata ed elastica al punto giusto. Ci ritornerò, perché Rosario alle mie domande risponde con suoni antichi e affascinanti: pupetielli affugati, stocco capperi e ulive, pasta e patate e cotica din't 'a salsa... Torniamo verso casa. Sulla Tangenziale, un povero stronzo di prende la sua dose di libertà, quella di mettere a rischio la sua e la nostra vita; sì, perché ci sorpassa a destra, a gran velocità. Il tale alla guida, ne scorgo appena il volto. No, ne sono più che certo, lui non c'era, tra il pubblico, a teatro.

SEGUICI SU
  • calendario ferie alla sezione INFO
  • Per consegne a domicilio: 081.544 15 21
FacebookTwitterYouTube
TRADUCI
ItalianoEnglishEspañol