Da "The Departures" - "Eating Well in Naples, Italy" a cura di Tom Parker Bowles
We're sitting at the back of Antica Cantina del Gallo, an osteria and pizzeria many miles removed from the usual tourist trail. Pauciulli and Gagliardi are the greatest of guides, as well versed in the city's Greek roots as they are in the glories of chile-spiked friarielli, that great, bitter broccoli-like vegetable. Here in Rione Sanità, a district outside the old city walls, sumptuous old palazzos peep out from behind dreary concrete façades. In this poorer part of town, the past is a luxury, something to be used rather than preserved. But wherever you are in Naples it's impossible to be unmoved. People may moan about the din, the crime, the trash, the heat and the dirt. The scurry through the shadowy, narrow street of Spaccanapoli, eyes firmly ahead, cameras and watches well hidden from sight. To them, this is a place to be endured, to trick off before retiring, battered but unhurt, to the limpid, civilized charms of the Amalfi Coast. I'm a tourist, too, of course. But one who adores this Italian city above all others---the allure of the singsong accent, the theatrical aplomb of the most mundane conversation. And the food, dear God, the food. Because in Naples, every mouthful is relished as if it were the very last on earth. Which is hardly surprising, considering the city is close to a major fault line and less than six miles from Mount Vesuvius. The volcano is both provider and destroyer. with its lushly fertile slopes and the ever-present threat of its next eruption. Rosario Silvesti, the owner of Antica Cantina del Gallo, is short and intense, his hands dusted with flour. He's in full flow, but I can barely understand a word. As the conversation becomes more intense, he gestures wildly, grabs my shoulder and grips my arm. Is he predicting the end go civilization as we know it? Or acting out what he'd do to anyone who disrespected his daughter? Nope, he's just recounting the history of his restaurant, which served its first customer back in 1898. This is the Neapolitan way. He implores me too smell the tomatoes. He inhales, deeply, his eyes closed in ecstasy. I love this man. And his tomatoes, too: San Marzano, of course, fresh from the slopes of Vesuvius. The best in the world. Just like the mozzarella, sweet and coolly lactic. And the seafood hauled from the Bay of Naples. The simple feast filling the table before us is divine: A burnished ball of baked dough is stuffed with a tiny tomato that burst its contents all over a blob of molten provolone as you bite in. "When I first came here from Rome" says Gagliardi, "parts of Naples seemed like the Middle East. It was just so exotic. At times, it doesn't seem Italian at all." Local Gragnano pasta comes next, plump, ridged tubes with a scattering of fresh ricotta. Every bite delights, the pasta pert and the cheese fresh. "In Rome everything is imposing," says Pauciullo between bites, "In Naples, everything is a theater. But it's not some Italian Disneyland. Everybody lives." Even the very poorest. Between 1880 and 1920, millions of Italians left Vesuvius and southern Italy behind them and set off for a fresh start in the New World. With them came meatballs, pizza, past and tomato sauce. The most famous food of Italy is the food of Naples and the country's southern half. Bastardized, sure, but there's no doubting its roots. "No ethnic community has had powerful an influence on American food as they have," writes Claudia Roden in The Food of Italy, "…And from there the pizzas and pastas and ice crems of southern Italy went on the conquer the world."
Da "Il Mattino" - "La locandiera che metteva sull'attenti i guappi" a cura di Giuliana Covella
C'era un tempo in cui al Rione Sanità non si sparava. Un tempo, a cavallo tra la fine dell'ottocento e gli albori del novecento, in cui una donna riusciva a mettere in riga i boss prendendoli per la gola. Minestra maritata e stoccafisso per deliziare i palati dei signorotti del quartiere. La storia della locandiera Concetta Silvestri, classe 1898, "fu Gennaro" come si legge nel suo libretto sanitario, è racchiusa in un piccolo locale al civico 21 di via Alessandro Telesino. È qui che i suoi diretti discendenti, il nipote Rosario, 60 anni e i due figli Mariano, di 29 e Alessandro di 21 gestiscono il ristorante-pizzeria che, due secoli fa, era il ritrovo del "fior fiore" della guapparia del centro storico di Napoli. Quei guappi che una giovane dai capelli castani - sempre raccolti in un fermaglio come si vede dalle foto che la ritraggono - e dagli occhi celesti, la maggiore di quattro femmine e quattro maschi di papà Gennaro, riusciva a domare imponendo loro le regole del galateo. Anzitutto niente armi a tavola, che venivano deposte in una cesta prima di sedersi a gustare le prelibatezze cucinate dalle abili mani della donna: in primis pizza cafona e baccalà fritto, ancora oggi specialità del menù di casa Silvestri. Niente pose sguaiate, né linguaggio scurrile, né discussioni violente, né alterchi né duelli nell'osteria di Minigone, dal soprannome di Domenico, capostipite (nonno di Concetta) che era proprietario di una masseria di fronte. Un rigido codice di regole da rispettare, mentre lei, la locandiera dall'esile corporatura, ma dal carattere energico e combattivo, preparava con le proprie mani i galli che lei stessa allevava e cui poi tagliava la testa e gettava in una pentola piena d'acqua bollente. " Due contendenti - racconta Rosario - minacciariono di sfidarsi con le mani per ottenere la mano di mia zia, ma lei rifiutò entrambi pur di evitare inutili spargimenti di sangue". Quei due pretendenti erano gli avventori abituali della locanda, frequentata dai guappi del quartiere che ogni sera si radunavano intorno ai tavoli dell'osteria di via Telesino, dando vita a veri e propri summit senza infastidire gli altri avventori del locale. Ce n'erano proprio tanti nel Rione Sanità a contendersi il rispetto e il controllo del territorio, ma senza scatenare sanguinose faide di camorra (come avviene oggi). Guappi dai nomi suggestivi, che richiamano alla mente, il più delle volte, l'attività che svolgevano. E allora ecco che, nei ricordi dei discendenti della Silvestri, rivivono Michele 'o capraro, Ciretiello 'o zecchino, Giovanni 'e lanterne e il famoso Campolongo. E, su tutti, uno che gli abitanti del posto chiamavano 'o Re Pipino, forse per la sua altezzosità. Fu quest'ultimo, tra gli habitué della Cantina del Gallo (come si chiama oggi), l'unico che per difendere l'onore della amata consorte - a quanto pare oltraggiata da offese infamanti da alcuni personaggi della zona - sparò ad un uomo uccidendolo. Storie d'altri tempi che riaffiorano nei ricordi di Rosario e dei suoi figli che tramandano da generazioni l'attività di famiglia. "Oggi tutto è cambiato - dice il nipote dell'energica locandiera - prima c'era rispetto reciproco tra chi comandava in questi quartieri, come i guappi, e chi gestiva le attività commerciali e ristorative come la nostra". Un'attività quella di donna Concetta, frequentata dai boss di fine ottocento e inizio novecento, che smettevano i panni di prepotenti non appena varcavano la soglia del ristorante dove c'era un decalogo di regole cui attenersi rigorosamente. " Siamo fieri di portare avanti questa tradizione di famiglia - dicono sorridenti Rosario e i suoi figli - specie perché al Rione Sanità c'è tanto di buono da valorizzare". Con l'auspicio magari che anche la Cantina di donna Concetta diventi patrimonio dell'Unesco come il resto dei monumenti del quartiere.
Da "Max" - "Salsiccia e friarielli"
Un'abbinata tanto buona che Gigi D'Alessio, che da tempo vive stabilmente a Roma, ha addestrato i suoi cuochi filippini a prepararla proprio come faceva mammà. DOVE:a Napoli, Antica Cantina del Gallo in via Telesino 21, tel. 081/5441521. Oppure a casa di Gigi D'Alessio, all'Olgiata.